Cassazione, sezione III Civile, n. 1272/2018

Il fatto prospettato

In rapporto a incidente stradale che ha coinvolto Tizio alla guida di motoveicolo e Caio alla guida di automobile, segue che Tizio, ritenendo Caio unico responsabile, con citazione del 13 giugno 2006 davanti al Giudice di pace, chiama in giudizio Caio e chiama in giudizio la Società di assicurazioni XXX, chiedendo che Caio e la Società assicuratrice siano condannati a risarcire i danni subiti da Tizio stesso.

 

Primo grado

il Giudice di pace, nel 2011, accoglie la domanda di Tizio dichiarando Caio unico responsabile, rigetta la domanda riconvenzionale di Caio e lo condanna, insieme alla Compagnia assicuratrice, a risarcire i danni subiti da Tizio e al pagamento delle spese di giudizio.

 

Secondo grado

La pronuncia del Giudice di pace è impugnata da Caio. Il Tribunale di Benevento, con sentenza del 13 febbraio 2015, ribaltando la decisione del Giudice di pace, accoglie il gravame e ritiene che il sinistro sia da ricondurre alla responsabilità esclusiva di Tizio; cosicché il Tribunale condanna Tizio, e la rispettiva Società di assicurazione, al risarcimento dei danni patiti da Caio all’automobile (attenzione: i soli danni alle cose, con esclusione dei danni alla persona), liquidati in complessivi euro 804, oltre interessi e con il carico delle spese dei due gradi di giudizio.

L’argomentare del Tribunale (nell’escludere i danni alla persona) va nel senso che Caio aveva asserito di avere riportato, in conseguenza dell’incidente, una lesione del rachide cervicale, ma tale lesione, pur riscontrata in Ctu (Consulenza  tecnica d’ufficio), non era  suscettibile di accertamento clinico strumentale obiettivo come invece richiesto alla luce della previsione dell’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 così come modificato, in materia di danno lieve alla persona,  dal provvedimento normativo n. 27 del 2012 (entrato in vigore successivamente al sinistro). In conseguenza, doveva essere respinta la domanda risarcitoria per il danno alla persona, trattandosi di disposizione applicabile nel caso benché sopravvenuta nel corso del giudizio.

 

Corte di Cassazione: la decisione

Contro la sentenza del Tribunale di Benevento propone ricorso Caio.

In particolare, il ricorrente Caio sostiene che il testo dell’art. 139 cit., così come modificato dalla legge n. 27 del 2012, non ha modificato la definizione di danno biologico. Il danno alla salute, anche se di modesta entità, deve essere comunque rigorosamente accertato in sede di merito, cosa che nella specie sarebbe avvenuta, perché il Consulente tecnico d’ufficio, dopo avere esaminato la persona di Caio, era giunto alla conclusione, pur in assenza di riscontro strumentale oggettivo, di inquadrare con esattezza il tipo di patologia e l’entità dei danni subiti. La distorsione del rachide cervicale, quindi, avrebbe dovuto essere risarcita; e comunque, quand’anche non fosse stato risarcibile il danno da c.d. micropermanente, il Tribunale avrebbe almeno dovuto riconoscere il diritto al risarcimento del danno biologico da invalidità temporanea.

Altresì, il ricorrente Caio sostiene che il Tribunale avrebbe fatto un’applicazione retroattiva della disposizione della legge n. 27 del 2012 la quale, invece, essendo sopravvenuta rispetto ai fatti di causa, non avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso specifico. Rileva il ricorrente che il principio di retroattività ha in materia civile un’applicazione limitata e che nel caso in esame né i medici del pronto soccorso né il Consulente tecnico d’ufficio avevano ritenuto di procedere ad un accertamento radiografico della patologia, in quanto all’epoca tale accertamento non era richiesto. L’applicazione della disposizione nuova con effetto retroattivo avrebbe, quindi, pregiudicato il danneggiato, privandolo del diritto al risarcimento.

La Corte di cassazione accoglie il ricorso, segnatamente ove ravvisa che, ai fini della risarcibilità del danno lieve alla persona, il riscontro oggettivo strumentale non costituisce presupposto essenziale, ma è sufficiente un fondamento adeguato sul piano della ragionevolezza normativa e sul piano della attendibilità della valutazione medica in rapporto alle leges artis.

Conseguentemente, la sentenza impugnata è cassata ed il giudizio è rinviato al Tribunale di Benevento, in persona di diverso Magistrato, con dovere di attenersi al seguente principio di diritto: «In materia di risarcimento del danno da c.d. ‘micropermanente’, l’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 [Codice delle assicurazioni private], nel testo modificato dall’art. 32, comma 3 – ter, del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, inserito dalla legge di conversione 24 marzo 2012 n.  27 [provvedimento cosiddetto ‘Riparti Italia’], va interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica deve avvenire  con rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali; tuttavia l’accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale».

 

Corte di Cassazione: la motivazione

È di particolare interesse la motivazione (riferita nei capoversi qui di seguito e virgolettati) ove la Corte ha ritenuto che la prova, del danno di modesta entità alla persona, al di là della lettera della norma, doveva ritenersi raggiunta se raggiungibile sulla base di valutazioni conformi alle leges artis anche in mancanza di riscontro strumentale oggettivo.

“È chiaro che la normativa introdotta nel 2012 ha come obiettivo quello di sollecitare tutti gli operatori del settore (magistrati, avvocati e consulenti tecnici) ad un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entità, cioè quelle che si individuano per gli esiti permanenti contenuti entro la soglia del 9 per cento. Il legislatore, cioè, ha voluto dettare una norma che, in considerazione dei possibili margini di aggiramento della prova rigorosa dell’effettiva sussistenza della lesione, imponga viceversa una prova sicura. Ciò è del tutto ragionevole se si riflette sul fatto che le richieste di risarcimento per lesioni di lieve entità sono, ai fini statistici che assumono grande rilevanza per la gestione del sistema assicurativo, le più numerose; per cui, nonostante il loro modesto contenuto economico, esse comportano ingenti costi collettivi”.

“Del resto anche la Corte costituzionale, tornando ad occuparsi della materia, dopo la sentenza n. 235 del 2014, con l’ordinanza n. 242 del 2015, ha avuto modo di chiarire che il senso della normativa del 2012 è quello di impedire che l’accertamento diagnostico ridondi in una «discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati», anche in considerazione dell’interesse «generale e sociale degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi». Il che conferma l’esigenza economica di un equilibrio tra i premi incassati e le prestazioni che le società di assicurazione devono erogare”.

“Il rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere – che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia – non può essere inteso, però, come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale; come già ha avvertito la sentenza n. 18773 del 2016, è sempre e soltanto l’accertamento medico legale svolto in conformità alle leges artis a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile”.

“E l’accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza”.

“La norma positiva, ad avviso del Collegio, non va interpretata in questo modo, bensì nel senso, come detto, di imporre un accertamento rigoroso in rapporto alla singola patologia, tenendo presente che vi possono essere situazioni nelle quali, data la natura della patologia e la modestia della lesione, l’accertamento strumentale risulta, in concreto, l’unico in grado di fornire la prova rigorosa che la legge richiede. Tale possibilità emerge in modo palese nel caso in esame, nel quale si discuteva di una classica patologia da incidente stradale, cioè la lesione del rachide cervicale nota volgarmente come colpo di frusta. È evidente che il c.t.u. non può limitarsi, di fronte a simile patologia, a dichiararla accertata sulla base del dato puro e semplice – e in sostanza non verificabile – del dolore più o meno accentuato che il danneggiato riferisca; l’accertamento clinico strumentale sarà in simili casi, con ogni probabilità, lo strumento decisivo che consentirà al c.t.u., fermo restando il ruolo insostituibile della visita medico legale e dell’esperienza clinica dello specialista, di rassegnare al giudice una conclusione scientificamente documentata e giuridicamente ineccepibile, che è ciò che la legge attualmente richiede”.

“Alla luce di tutto quanto si è detto, risulta in modo chiaro che i menzionati motivi di ricorso sono fondati. Il Tribunale, infatti, pur in presenza di una c.t.u. ritenuta del tutto condivisibile, ha posto a carico del danneggiato la responsabilità dell’omissione consistente nel mancato espletamento di un accertamento clinico strumentale obiettivo ed ha per questo rigettato la domanda. In tal modo sono stati commessi due errori: da un lato, quello di svilire l’accertamento compiuto dal Consulente tecnico d’ufficio, che si sarebbe potuto convocare per chiarimenti e per un eventuale accertamento supplementare; e, dall’altro, quello di porre a carico dell’infortunato un onere probatorio che neppure sussisteva nel momento in cui il giudizio fu incardinato. Come si è già detto, infatti, la causa odierna ebbe inizio nel 2006 e si concluse in primo grado con una sentenza del 2011, cioè anteriormente all’entrata in vigore delle modifiche legislative di cui si è discusso. D’altra parte, la retroattività cui ha fatto cenno anche la menzionata sentenza n. 18773 del 2016 di questa Corte – che si fonda su di un obiter  contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 235 del 2014, peraltro finalizzato in quella sede a negare la necessità di restituzione degli atti ai giudici a quibus, trattandosi di norma sopravvenuta – non può condurre alla conclusione di porre a carico della parte un onere probatorio inesistente nel momento in cui il giudizio fu promosso, essendo la norma sopravvenuta quando la causa era già in grado di appello”.

 

Commento: il rapporto tra potere legislativo e sapere tecnico dell’ars

La sentenza qui in esame, della Cassazione, riguarda una normativa e una casistica che ormai costituiscono riferimento storico, superato da modifiche normative successivamente intervenute (da ultimo, la Legge annuale per il mercato e la concorrenza, 4 agosto 2017 n. 124; superamento che però, secondo alcuni, sarebbe più apparente che reale, ritenendo che il requisito dell’accertamento “obiettivo” sarebbe rientrato dalla finestra dopo averlo fatto uscire dalla porta).

Comunque, la sentenza resta di notevole interesse per l’approccio e per l’orientamento interpretativo.

In rapporto all’interesse del messaggio giurisprudenziale, il discorso è da avviare dal momento genetico della norma (introdotta, nel 2012, nel cosiddetto provvedimento ‘Riparti Italia’) circa l’onere della “prova oggettiva strumentale” per le lesioni di lieve entità.

Giova rammentare, su questo punto, che i commi 3-ter e 3-quater dell’art. 32 del d.l. n. 1 del 2012, inseriti entrambi dalla legge n. 27 del 7 2012, di conversione del d.l. stesso, avevano introdotto alcune modifiche nel sistema risarcitorio dell’art. 139 del d.lgs. n. 209 del 2005. In particolare, il comma 3-ter disponeva che al comma 2 dell’art. 139 cit. fosse aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente». Il comma 3-quater aggiungeva che «il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione».

Molti ricorderanno il contesto di tale normativa, collocabile nell’ambito dei provvedimenti governativi denominati (il primo) “Salva Italia“ e (il secondo) “Riparti Italia”: provvedimenti sostenuti entrambi con argomenti che facevano appello a valori ed esigenze di rigore e di crescita.

In particolare, nel caso della norma in questione, si faceva riferimento alla esigenza di contenere una deriva dell’istituto risarcitorio e il connesso lassismo, quali elementi di degrado del costume ed elemento di attacco all’equilibrio economico delle imprese assicurative (con ulteriore effetto a danno dei consumatori, in rapporto alla inevitabile ma impropria lievitazione dei premi assicurativi). Ovviamente, da altre parti politiche e, soprattutto, da soggetti esponenziali di altri interessi, la lettura di tali norme era diversa, e queste ultime venivano rappresentate come sostanziale cedimento alle richieste di poteri economici forti (tra cui segnatamente, nel caso, le compagnie assicuratrici).

Molti ricorderanno, insomma, le difese e gli attacchi della menzionata impostazione di politica legislativa, così come ricorderanno la persistenza delle contrapposizioni politiche sul punto.

Tutto ciò, comunque, è mero inquadramento. Qui interesse richiamare l’attenzione, specificamente, sul rapporto tra formulazione normativa e interpretazione.

Sul fronte normativo, la formulazione evidenzia una sua chiarezza asserendo, in particolare, che le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente. Sul fronte giurisprudenziale, invece,  la Corte di cassazione interpreta che “Il rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere – che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia – non può essere inteso,  come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale; come già ha avvertito la sentenza n. 18773 del 2016, è sempre e soltanto l’accertamento medico legale svolto in conformità alle leges artis a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile”.

In definitiva: a fronte di un atteggiamento legislativo orientato (seppure in casi specifici) a limitare autoritativamente la sfera di autonomia della valutazione tecnica del medico (nel caso, sostanzialmente, il medico legale), la Corte di Cassazione evidenzia un indirizzo orientato a una interpretazione di resistenza e di contenimento: il messaggio giurisprudenziale è andato nel senso che la sfera del diritto abbia rispetto per quanto attenga specificamente alla sfera dell’ars.

Il rapporto tra regole giuridiche e regole delle artes (le artes in generale, quindi non soltanto l’ars medica) è un rapporto perenne e delicato: questo è un periodo storico in cui le regolamentazioni normative si orientano a “porre ordine” (oppure a “invadere”, a seconda dei punti di vista) molti campi in cui i saperi esperti tendono a rivendicare, da sempre, sfere di autonomia.  Che si tratti di un tema “caldo” appare all’evidenza da segni anche odierni tra cui, per esempio, la recente disciplina circa le Società scientifiche e l’elaborazione delle linee guida. La tematica è di vasto e fecondo interesse, cosicché non mancheremo di seguirla e riproporla con l’attenzione che merita.