Il fatto. Una donna ultrasettantenne si presenta verso le 4.30 al Pronto Soccorso lamentando un forte dolore al braccio sinistro – conseguenza di una caduta accidentale in bagno – e viene accettata con codice triage verde. Nonostante le ripetute richieste, da parte di un’infermiera, di visitare la paziente per una probabile frattura, il dirigente medico (con mansioni di medico di guardia) omette di visitarla, sebbene non fosse impegnato da altri pazienti, avendo terminato l’ultima visita alle ore 3.00. Il medico si limita a dire all’infermiera di somministrare alla donna un antidolorifico e suggerirle di ripresentarsi all’Ospedale alle ore 8.00 per eseguire una radiografia. La donna, alla quale l’infermiera decide autonomamente di immobilizzare il braccio, torna così all’Ospedale alle ore 8.00. Alle 10 è sottoposta ad una radiografia, a seguito della quale le viene diagnosticata una frattura scomposta dell’omero sinistro. Il giorno successivo la paziente viene operata.
Il Primo grado. Il Tribunale condanna il medico per il reato di cui all’art. 328 c.p. (Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione).
Il Secondo grado. La Corte d’Appello conferma la sentenza del Tribunale. Secondo i giudici della Corte d’Appello, nonostante le sollecitazioni dell’infermiera e il fatto che la paziente avesse detto di provare un dolore pari a 9 (su una scala da 1 a 10), il medico aveva rinviato la visita alle ore 8.00 “perché a quell’ora si era da poco messo a riposare”, con l’intento di gravare dell’incombenza un altro medico. La Corte d’Appello, inoltre, sottolinea la correttezza della qualificazione giuridica della fattispecie, evidenziando come il delitto di cui all’art. 328 c.p. sia integrato “anche se le condizioni di salute del paziente non siano poi risultate gravi in concreto o che l’atto omesso non abbia provocato l’aggravamento di esse”.
La Corte di Cassazione. Secondo i giudici della Corte di Cassazione, la motivazione della Corte d’Appello è corretta. La Corte sottolinea, relativamente al carattere di urgenza della visita, come “la persona che si presenti al Pronto Soccorso, lamentando un disturbo, ha il pieno diritto – cui corrisponde un correlativo dovere del sanitario di turno – ad essere sottoposto a visita medica, là dove l’assegnazione del codice di triage all’atto dell’accettazione vale soltanto a definire un ordine di visita fra più pazienti in attesa, ma non ad esentare il predetto sanitario dal dare corso alla visita del paziente la cui patologia sia valutata, ad un primo screening del personale paramedico, non grave. Ciò a maggior ragione allorchè si tratti di persona non più giovane (ultrasettantenne) che accusi un dolore acuto (indicato come di intensità 9, in una scala da uno a dieci) ed a fronte delle reiterate sollecitazioni del personale infermieristico, dunque di personale qualificato ed in grado di valutare l’effettività necessità della visita immediata da parte del medico”. Per quanto riguarda poi il differimento orario della visita, la Corte ribadisce che non può ritenersi “un legittimo esercizio della discrezionalità del sanitario”. Costituiva, infatti, preciso dovere del medico di turno “verificare senza indugi la gravità della situazione e formulare una prima diagnosi, così da scongiurare patologie di intensità tale da richiedere un intervento sanitario tempestivo e non dilazionabile al giorno successivo”.
La Corte di Cassazione rigetta perciò il ricorso proposto dal medico, confermando la sentenza della Corte d’Appello.