Il fatto prospettato

Il denunciante muove l’addebito, all’imputato, di avergli cagionato, nel corso dell’esecuzione di un intervento di ptosi del sopracciglio (lifting), una ipoestesia tattile in ristretta zona frontale destra, consistente in una diminuzione di sensibilità della zona interessata, permanente a distanza di cinque anni dall’intervento. La colpa è stata prospettata nella imperizia manifestatasi nella concreta esecuzione dell’intervento: imperizia che avrebbe determinato la lesione del nervo sovraorbitario nel corso dell’esecuzione.

Il primo grado.

Il Tribunale di Bologna ha affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di lesioni colpose e lo ha condannato, altresì, al risarcimento del danno nei confronti della parte civile da liquidarsi dinnanzi al giudice civile, riconoscendo una provvisionale di euro 10.000 (diecimila).

Il secondo grado.

La Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale in considerazione del fatto che l’intervento non era di particolare complessità nonché in considerazione della gravità della colpa, concretatasi in una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato.

La Corte di Cassazione: decisione

La Corte ritiene che, nel caso in esame, la decisione del Tribunale e la decisione della Corte d’appello, pur riscontrando, condivisibilmente, la grave imperizia dell’imputato, non hanno svolto alcuna riflessione in ordine al rispetto o meno, da parte del chirurgo, delle linee guida o delle buone pratiche.

Il giudizio penale si chiude con l’assoluzione dell’imputato per intervenuta prescrizione del reato, il che ha impedito un rinvio ad altra Corte di merito per la verifica circa il rispetto o meno delle linee guida e delle buone pratiche .

 

Riflessioni in tema di legge Gelli-Bianco

Il caso e la decisione, preso atto della estinzione del reato per intervenuta prescrizione, parrebbero privi di interesse ai fini di una rilevazione e di un commento. Tuttavia, la motivazione della sentenza è ricca di spunti notevoli che riguardano (dapprima la legge Balduzzi e poi, soprattutto) la legge Gelli-Bianco, e tali spunti meritano di essere riferiti. Eccone uno stralcio, qui di seguito in corsivo.

“ I giudici del merito, col conforto dei contributi tecnici disponibili e necessari, hanno valorizzato il tema della colpa in capo all’imputato, considerandone l’inappropriatezza rispetto al risultato che poteva e doveva essere perseguito, valutandone la rilevanza sull’esito negativo derivatone per la persona offesa.

E’ tematica qui non più rinnovabile, anche perché non è compito ineludibile del giudice, che sia in grado di motivatamente decidere sulla base dei contributi tecnici disponibili, procedere sempre e comunque a perizia di ufficio, perché, pacificamente, la perizia è mezzo di prova neutro ed è sottratta al potere dispositivo delle parti, che possono attuare il diritto alla prova anche attraverso proprie consulenze. La sua assunzione è pertanto rimessa al potere discrezionale del giudice e non è riconducibile al concetto di prova decisiva, con la conseguenza che il relativo diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), e, in quanto giudizio di fatto, se assistito da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità, anche ai sensi dell’art. 606 c.p.p.,comma 1, lett. e), (Sez. 6, n.48379 del 25/11/2008, Brettoni).

Ciò premesso, il giudicante (sia in primo che in secondo grado) ha escluso l’applicabilità della c.d. legge Balduzzi, avendo apprezzata, in modo assorbente, la sussistenza dei profili della colpa grave, che come è noto, è configurabile nel caso di una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato” (cfr., efficacemente, Sez. 4, n. 22281 del 15/04/2014, Cavallaro, Rv. 262273), ossia dell’errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria (cfr. in termini, Sez. 4, n. 9923 del 19/01/2015, p.c. Donatelli in proc. Marasco)… … …

Ciò detto, il tema trattato impone di prendere in considerazione – anche se non è stato oggetto di motivo di ricorso – la nuova disciplina introdotta dalla L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 6, che ha innovato la materia della responsabilità penale del medico.

Da quanto sopra esposto in punto di responsabilità emerge, infatti, con chiarezza, che il profilo di colpa è stato individuato nella imperizia nella concreta esecuzione dell’intervento e non nella scelta dello stesso, imperizia che aveva determinato la lesione del nervo sovra orbitario nel corso della sua esecuzione.

L’art. 590 sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge citata, dedicato alla responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario stabilisce che:

  • “Se i fatti di cui agli artt. 589 e 590 c.p. sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal comma 2. Qualora l’evento si è verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
  • “Al D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3, il comma 1 è abrogato”.

Si pone, pertanto, in questo caso, in cui si verte in tema di imperizia, il problema dell’applicabilità del novum normativo, se ritenuto più favorevole.

L’eventuale non punibilità del fatto, avendo natura sostanziale, è applicabile, invero, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della L. n. 24 del 2017, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione e la relativa questione, in applicazione dell’art. 2 c.p., comma 4, e art. 129 cod. proc. pen., è deducibile e rilevabile d’ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, anche nel caso di ricorso inammissibile.

Occorre allora cercare di comprendere quale sia la portata della riforma e quali ne siano gli effetti nella fattispecie in esame.

– Sono noti i dubbi interpretativi suscitati dalla nuova norma.

Ciò che è chiaro, in quanto espressamente previsto all’art. 590-sexies c.p., comma 2, è che è stata abrogata la disciplina penale relativa alla depenalizzazione della colpa lieve della legge Balduzzi, essendo stato abrogato l’intero comma 1 dell’art. 3. Non si pone più pertanto un problema di grado della colpa, salvo casi concreti in cui la legge Balduzzi possa configurarsi come disposizione più favorevole per i reati consumatisi sotto la sua vigenza coinvolgenti profili di negligenza ed imprudenza qualificati da colpa lieve (per ultrattività del regime Balduzzi più favorevole sul punto).

Altrettanto chiaro è che il legislatore ha ritenuto di limitare l’innovazione alle sole situazioni astrattamente riconducibili alla imperizia, cioè al profilo di colpa che si fonda sulla violazione delle leges artis, che ha ritenuto non punibili neanche nell’ipotesi di colpa grave.

In questo senso può ritenersi ulteriore elemento di certezza il superamento in senso restrittivo del dibattito apertosi in sede di legittimità sull’applicabilità della L. n. 189 del 2012 non solo nelle ipotesi di imperizia ma anche nei casi di negligenza ed imprudenza (quando le linee guida contengano regole prescrittive di particolare attenzione e cura nello svolgimento di attività considerate pericolose, investendo più la sfera dell’accuratezza, che quella dell’adeguatezza professionale della prestazione; v.,in termini, Sez. 4, n. 23283 del 11,05,2016, De Negri, Rv. 266903; n. 45527 del 01/07/2015, Cerracchio, Rv. 264897; n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, Rv. 260739).

Sono note altresì le critiche sollevate già all’indomani della riforma, che attengono alla rilevanza delle linee guida, così come delineate dal legislatore, ed alla difficoltà di delimitare in concreto la nozione di imperizia da quelle confinanti e, talora, in parte sovrapponibili di negligenza ed imprudenza.

– Occorre, inoltre, tener conto della obiezione di fondo secondo la quale in presenza di “colpa grave”, sarebbe oltremodo difficile ipotizzare come sussistenti le condizioni concorrenti previste per l’impunità del sanitario, nel senso che sembrerebbe difficile conciliare il grave discostamento del sanitario dal proprium professionale con il rispetto delle buone pratiche clinico assistenziali, e, soprattutto, decisivamente, che possa conciliarsi la colpa grave con un giudizio positivo di adeguatezza delle linee guida al caso concreto.

E’ obiezione degna di considerazione, ma alla quale si può opporre il concorrente rilievo della lettera e della finalità della legge: sotto il primo profilo, il legislatore, innovando rispetto alla legge Balduzzi, non attribuisce più alcun rilievo al grado della colpa, così che, nella prospettiva del novum normativo, alla colpa grave non potrebbe più attribuirsi un differente rilievo rispetto alla colpa lieve, essendo entrambe ricomprese nell’ambito di operatività della causa di non punibilità; sotto l’altro concorrente profilo, giova ribadire che con il novum normativo si è esplicitamente inteso favorire la posizione del medico, riducendo gli spazi per la sua possibile responsabilità penale, ferma restando la responsabilità civile.

La nuova legge, in sostanza, cerca di proseguire in un percorso di attenuazione del giudizio sulla colpa medica, introducendo così una causa di esclusione della punibilità per la sola imperizia la cui operatività è subordinata alla condizione che dall’esercente la professione sanitaria siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali e che dette raccomandazioni risultino adeguate alla specificità del caso concreto.

Tale risultato è stato perseguito dal legislatore (in tal senso la lettera della norma non ammette equivoci) costruendo una causa di non punibilità, come tale collocata al di fuori dell’area di operatività del principio di colpevolezza: la rinuncia alla pena nei confronti del medico si giustifica nell’ottica di una scelta del legislatore di non mortificare l’iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie mandandolo esente da punizione per una mera valutazione di opportunità politico criminale, al fine di restituire al medico una serenità operativa così da prevenire il fenomeno della cd. medicina difensiva.

In questa prospettiva l’unica ipotesi di permanente rilevanza penale della imperizia sanitaria può essere individuata nell’assecondamento di linee guida che siano inadeguate alla peculiarità del caso concreto; mentre non vi sono dubbi sulla non punibilità del medico che seguendo linee guida adeguate e pertinenti pur tuttavia sia incorso in una “imperita” applicazione di queste (con l’ovvia precisazione che tale imperizia non deve essersi verificata nel momento della scelta della linea guida – giacchè non potrebbe dirsi in tal caso di essersi in presenza della linea guida adeguata al caso di specie, bensì nella fase “esecutiva” dell’applicazione).

E’ una scelta del legislatore – che si presume consapevole – di prevedere in relazione alla colpa per imperizia nell’esercizio della professione sanitaria un trattamento diverso e più favorevole rispetto alla colpa per negligenza o per imprudenza.

Non è questa la sede allora di occuparsi funditus di tale scelta, nell’ottica del rispetto dell’art. 3 Cost. (potrebbe in vero dubitarsi della coerenza di una scelta di non punibilità dell’imperizia grave e invece della persistente punibilità di una negligenza “lieve”), per difetto di rilevanza nel caso di specie.

Ciò che qui basta ai fini della presente vicenda processuale è la ricostruzione del testo e della finalità della nuova legge e la conseguente applicabilità del novum giacché si discute di colpa per imperizia.

Alla luce delle considerazioni svolte deve affermarsi il seguente principio di diritto: “L’art. 590-sexies cod. pen., comma 2, articolo introdotto dalla L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guide e delle buone pratiche con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse”.

 

Commento

I punti di maggiore rilievo, nella motivazione riferita, sono i seguenti.

Fatti commessi anteriormente alla legge Gelli: la non punibilità per imperizia, prevista dalla legge Gelli, si applica anche nei procedimenti riguardanti fatti commessi antecedentemente alla medesima legge, ed è rilevabile d’ufficio anche in caso di ricorso inammissibile.

Incertezza di confini tra imperizia e negligenza: sussistono oggettive difficoltà esegetiche e applicative nel determinare distintivamente i rispettivi ambiti della imperizia e della negligenza, che, in parte, si sovrappongono.

Compatibilità tra imperizia e assecondamento di linee guida e buone pratiche: il rispetto delle linee guide e delle buone pratiche può accompagnarsi a condotta imperita nell’applicazione delle stesse (e l’applicazione imperita non può dirsi, tout court, discostamento da linee guida e buone pratiche).

Non punibilità della imperizia grave al pari della imperizia lieve: l’imperizia afferente alla colpa grave non ha una rilevanza penale che sia diversa dalla imperizia afferente alla colpa lieve, essendo entrambe, per la legge Gelli, non sanzionabili penalmente; sono note le discussioni sorte in proposito e sono note le opinioni divergenti, ma la Corte di Cassazione ritiene che la lettera della legge non ammetta equivoci, trattandosi di un risultato normativo voluto dal legislatore.

Unico caso di rilevanza penale della imperizia sanitaria: la rilevanza penale dell’imperizia, nel sistema della legge Gelli, si ridurrebbe all’assecondamento di linee guida che siano inadeguate alla peculiarità del caso concreto [questa impostazione della Corte di Cassazione darà luogo sicuramente ad ampio dibattito anche nella futura giurisprudenza di merito].

Prospettazione di una eventuale illegittimità costituzionale: secondo la Corte di Cassazione, nell’ottica del rispetto dell’art. 3 Cost., potrebbe dubitarsi della coerenza di una scelta di non punibilità dell’imperizia “grave” in rapporto alla persistente punibilità di una negligenza “lieve” (situazione istitutiva di una diversità di trattamento sanzionatorio tra imperizia e negligenza pur essendo grave la prima e lieve la seconda). Questa considerazione getta un’ombra sulla normativa in atto, che era stata largamente invocata per conferire un quadro di certezza alla travagliata materia della responsabilità penale (e non solo penale) in ambito sanitario.