Il fatto. Un uomo colpito da infarto viene prelevato, presso la propria abitazione, da un’ambulanza, e trasportato al Pronto Soccorso. I parenti del paziente avvertono il personale dell’ambulanza circa il decesso del padre dell’uomo, avvenuto anni addietro per la medesima patologia e alla medesima età. Il personale dell’ambulanza decide, in base alle condizioni del paziente e a tali dichiarazioni, di assegnare al paziente un codice giallo. L’infermiere responsabile del servizio di triage del Pronto Soccorso, tuttavia, trascura le indicazioni del referto del personale dell’ambulanza relative alla familiarità del problema cardiaco, non effettuando alcun esame e attribuendo al paziente un codice verde. L’infermiere omette altresì di rivalutare il paziente nelle ore successive, così che gli infermieri subentrati nel turno pomeridiano, accertate le condizioni gravissime dell’uomo, lo trasportano urgentemente nel reparto di cardiologia, dove decede per una occlusione trombotica della coronaria sinistra.
Il primo grado. Il Tribunale condanna l’infermiere per il delitto di omicidio colposo.
Il secondo grado. La Corte d’Appello conferma la sentenza di condanna del Tribunale.
La Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione sottolinea la correttezza della motivazione della Corte d’Appello circa la condanna dell’infermiere, sia sotto il profilo della colpa, sia sotto il profilo causale. Per quanto riguarda il primo profilo, i Giudici hanno correttamente motivato, rilevando come il comportamento dell’infermiere integri certamente una condotta colposa. Il sanitario, infatti, ha violato “sia le linee guida del triage, sia le regole di comune diligenza e perizia richieste agli infermieri professionali addetti al Pronto Soccorso, tenuto conto dei sintomi del paziente e della acquisita anamnesi familiare”. Per quanto riguarda il profilo causale, i Giudici rilevano come “l’assegnazione di un corretto codice di priorità avrebbe comportato l’effettuazione dell’elettrocardiogramma entro trenta minuti, evenienza che avrebbe consentito di intraprendere utilmente il corretto percorso diagnostico e terapeutico”. Ciò avrebbe evitato, secondo i consulenti, la morte del paziente. Sussistono perciò i presupposti per affermare la riconducibilità causale dell’evento alla condotta omissiva dell’imputato. La Corte di Cassazione, così motivando, annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata – essendo il reato estinto per prescrizione – e rigetta il ricorso dell’infermiere agli effetti civili.