Rimodulazione ragionevole di un archetipo utopico
La legge Gelli-Bianco: mondo dei sogni o avvio di un percorso?
‘Sicurezza delle cure’ è una espressione presente da tempo nel lessico della cultura sanitaria, anche a livello internazionale.
Nel nostro paese, un rilevante contributo al suo accoglimento normativo, e alla sua diffusione, deriva dalla Legge n.24/2017 (cosiddetta legge ‘Gelli’, o ‘Gelli-Bianco’).
L’enunciazione generale, parzialmente definitoria, è contenuta nel primo comma:
La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività.
La legge, quindi, associa la “sicurezza delle cure” e il “diritto alla salute”: la sicurezza delle cure non è, solamente, un obiettivo della pubblica amministrazione o delle imprese, ma è principalmente il contenuto di un diritto soggettivo costituzionalmente garantito. Si continua, così, a evocare quel “diritto alla salute” che, a pensarci bene, è un poco strano. Infatti, se ciascuno di noi ha quel diritto, chi mai sarebbe il debitore (verosimilmente non divino) a cui possiamo rivolgerci per ottenere la salute che ci spetta?
Ma non è questo il punto, e torniamo alla legge Gelli.
La sicurezza delle cure (che, riferendosi alle cure, rimodula il diritto alla salute entro un’ottica più concreta) resta comunque un riferimento ambizioso e impegnativo. Lo si vede già nel prosieguo dell’art. 1, e precisamente nei due commi successivi:
La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione delle prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative
Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compreso i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale.
In tale ottica, la sicurezza delle cure è un risultato da conseguire tramite la prevenzione del rischio, e, ove il rischio si concreti, tramite la sua gestione. A sua volta, il rischio è configurato in senso molto ampio: non è un rischio localizzabile solamente nella effettuazione della prestazione di cura; ma è un rischio connesso, comunque connesso, alla erogazione delle prestazioni sanitarie. Con espressioni sintetiche, si suole sottolineare uno spostamento dal rischio clinico al rischio sanitario.
Questo termine chiave (‘connesso’) apre un ambito di enorme estensione in diverse direttrici. A) i soggetti, il cui evento avverso è da prevenire e gestire, non sono solo i pazienti ma anche gli operatori e financo le persone presenti occasionalmente nelle strutture (si pensi a parenti, in visita del malato oppure ancora ai volontari). B) i soggetti che devono concorrere alla prevenzione corrispondono a tutto il personale, e nel personale sono compresi i liberi professionisti. C) i contesti a cui rapportarsi, in tema di rischio, sono strutturali e tecnologici e organizzativi (perciò, quasi tutto) che parimenti devono essere oggetto di analisi e adeguamenti in modo mirato alla sicurezza delle cure.
A questo punto è d’obbligo una premessa, poi una domanda. La premessa: in molti casi (soprattutto nel nostro Paese) si fanno leggi per dire che sono state fatte (un prodotto di parola per un mondo di parole); e così, in tale ottica, le leggi possono pretendere l’impossibile ben sapendo che i miracoli non riguardano il legislatore. Ed ora ecco la domanda: la legge Gelli è un prodotto, anch’esso, prevalentemente semiologico per un uso di comunicazione?
La risposta va temperata: è pur vero che la legge Gelli impone qualcosa che in molti casi – in contesti concreti e con i mezzi concretamente a disposizione, mezzi ben diversi a seconda delle strutture e dei territori – sembra appartenere a un mondo più ideale che reale; tuttavia, tale legge nasce anche dalle aspettative e dalle capacità di un universo, soprattutto professionale, che è pronto a un cambio di passo verso una cultura di crescente qualità in ambito sanitario (sia in rapporto a ciò che è reso possibile dagli sviluppi tecnologici, sia in rapporto alla evoluzione culturale in tema di etica personalistica e di rapporti concreti entro le relazioni tra Persone).
Sicurezza delle cure ed effetti virtuosi
Il messaggio sulla “sicurezza delle cure” ha trovato risposte incoraggianti (anche se, talvolta, la risposta è consistita nel potenziamento di un seme già posto e coltivato all’intero di strutture sensibili e qualificate).
Specificamente, è possibile segnalare:
- Impegno analitico nella mappatura degli eventi avversi, in astratto e in concreto: tipizzati in rapporto all’area di riferimento e al grado di pericolosità, alla frequenza.
- Mappatura dei near miss.
- Raccolta dei dati (di eventi avversi e near miss) a scopo di valutazione e gestione; e viene correttamente percepito che la raccolta di tali dati va valutata e gestita con un giusto approccio di orgoglio e riservatezza “aziendali”, cioè tendendo fermo che si tratta di conoscenze interne, da difendere anche in caso di richieste improprie in caso di indagini (una formula efficace, che capita di sentire in convegni sul tema, va nel senso che non c’è mai il dovere di autoaccusa ma c’è sempre il diritto di difesa).
- Costituzione di organismi interni dedicati alla gestione del rischio, e strutturati in modo da integrare le occorrenti professionalità (mediche, legali, assicurative).
- Particolare attenzione ad aree di rischio tradizionalmente in minore evidenza nella scala delle percezioni. In tale ottica, per esempio, vi è maggiore attenzione al rischio infettivo, non solo includendolo nell’area e nelle strutture nel rischio clinico in senso ampio, ma anche con specifico impegno sul piano della comunicazione (per esempio, predisponendo e diffondendo adeguata informazione ai pazienti e adeguata formazione al personale).
- Impegno per garantire la sicurezza degli operatori, considerando che, in alcuni settori, talvolta si va a lavorare con disagio (il pensiero va subito al Pronto soccorso); più in generale, si tratta di prevenire i fenomeni di burnout (con peculiare riferimento alle strutture socio-assistenziali).
- Sensibilità a temperare l’ottica dominante della regolamentazione (che talvolta assume dimensioni ipertrofiche) inserendo la condivisione dei contesti e degli eventi successo.
- Promozione di una crescente attenzione rivolta ai profili di “documentazione”: in primo luogo, scrupolosa attenzione alla compilazione della cartella clinica (le cui omissioni sono pericolose sul piano conoscitivo, ed anche sul piano giudiziario in caso di controversie).
- Formulazione di protocolli adeguati per governare, in termini di supporto e di certezza, i momenti critici nella gestione delle strutture e nella erogazione dei servizi.
- Da non trascurare, inoltre, il ricorso all’autoassicurazione da parte delle Strutture: le quali, in tal modo, se intendono correttamente i fini e le potenzialità dell’istituto, possono migliorare la qualità delle prestazioni, contenere gli eventi avversi, contenere i costi delle polizze, potenziare la propria competitività.
Sicurezza delle cure e italico costume.
La sicurezza delle cure è una cosa seria, ma tutte le cose serie dipendono dalla serietà di chi le affronta: e, in proposito, è difficile prescindere da un italico costume, atavicamente seduttivo e secolarmente sperimentato.
Un esempio di siffatto costume è il famoso ‘facimmo ammuina’. Il senso è questo: può anche darsi che ci sia qualcosa da fare, ma, anziché affrontare la fatica del fare, è meglio darsi un gran daffare per simulare di farla.
E allora, ecco un’altra domanda: in materia di sicurezza delle cure, l’occasione è accolta come una opportunità per fare bene, oppure è percepita come una molestia e un’inutile costo da fronteggiare con simulazioni di comodo?
Già è facile immaginare un nugolo di seducenti pataccari: pataccari pronti a rilasciare confortanti attestati di gestione del rischio o protocolli per la prevenzione reperiti in internet senza aver mai frequentato una Struttura sanitaria. Ma non è così semplice. La prevenzione e la gestione del rischio sono funzionalità complesse: richiedono competenze, dedizioni serie, cooperazione in affiancamento. Cercare scorciatoie significa magari spendere meno, ma significa eludere norme e perdere occasioni di miglioramento qualitativo della prestazione fornita.
Diritto alla felicità e dintorni, ma all’insegna della concretezza
Nella dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, madre di molte Costituzioni liberali e democratiche (e se fosse un ossimoro?) c’è un articolo 1 alquanto noto: “Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per sé stesse evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”.
Attenzione: qui, tra i Diritti inalienabili, è menzionato il diritto alla ricerca della Felicità.
Ma, nella vulgata del pensiero spensierato (e da qui la sua propensione alla Felicità) il passo è breve: viene spontaneo parlare di “diritto alla felicità”. E così, se sei infelice, vediamo chi è stato!
Nella Costituzione italiana, con prudente scetticismo, la felicità non è contemplata (ce l’ha chi ce l’ha: è un fatto privato). Ma vi sono altri diritti non da poco: tra questi, per quanto riguarda il nostro tema, vi è il diritto alla salute.
Può anche darsi che una interpretazione tecnica dell’art. 32 della Costituzione non consenta tale formulazione; ma orami tutti interpretano così, e anche la legge Gelli parla di diritto alla salute.
Come si diceva, la formulazione è curiosa: è curiosa perché una persona potrà avere il diritto ad essere curato, ma è difficile che possa vantare un diritto a conseguire la salute oppure a mantenerla.
I giuristi conoscono bene tale distinzione, che è un cardine della loro professionalità: una cosa è una prestazione di mezzi, e altra cosa è una prestazione di risultato.
Considerazioni analoghe, del resto, potrebbero essere formulate in altri casi: come, ad esempio, in riferimento alla altrettanto celebre formulazione del “diritto al lavoro” (a chi mi presento per dire: ‘da domani vengo qui a lavorare’?).
Ma è inutile allargare il campo, ed è sufficiente richiamare un precetto prudenziale: è pericoloso enunciare diritti che (anziché i mezzi) garantiscono i risultati. È pericoloso perché, altrimenti, in caso di non conseguimento, ci dovrà pur essere qualcuno che è stato inadempiente: e costui va raggiunto e va punito (se poi c’è un po’ di gogna mediatica, anche questa è una piccola soddisfazione che fa bene al cuore).
In tale ottica, è difficile negare un merito della Legge Gelli. La legge Gelli ha corretto il tiro: ha evocato pur sempre il diritto alla salute (e chi osa toccarlo); ma, in concreto, ci ricorda che è già molto se ci occupiamo delle cure e cerchiamo di incrementarne la sicurezza.