Sono stati resi noti i primi risultati emersi dalle indagini condotte dagli Ispettori ministeriali, inerenti gli ospedali presso i quali, nelle scorse settimane, si sono verificate le morti di quattro partorienti.
Gli Ispettori hanno analizzato la presenza di eventuali criticità di tipo organizzativo e clinico presso le quattro strutture: secondo quanto confermato dal Ministero della Salute, in tre ospedali su quattro sono emerse criticità ed errori procedurali nonché di comunicazione.
L’unica eccezione è rappresentata dall’Ospedale Sant’Anna di Torino, dove hanno perso la vita Angela Nesta e la figlia Elisa, il quale “non sembra presentare, allo stato attuale delle conoscenze, elementi di inappropriatezza, relativamente alla gestione della complicanza, repentinamente occorsa, e che ha portato al decesso della signora e della neonata: pare infatti siano stati attuati tutti gli accertamenti necessari e tutte le manovre di emergenza sia per la rianimazione materna, sia neonatale”. La relazione degli ispettori, tuttavia, sottolinea la necessità che siano resi disponibili ‘protocolli diagnostico terapeutici assistenziali’ (PDTA) per la selezione delle donne da avviare al parto indotto e per la gestione delle donne con agitazione psico-motoria in pre-partum.
Per quanto riguarda il Presidio Ospedaliero Spedali Civili di Brescia, dove ha perso la vita Giovanna Lazzari, gestante all’ottavo mese di gravidanza, l’esame della documentazione clinica, “ha mostrato un certo disallineamento rispetto ai colloqui intercorsi con il personale dell’ospedale coinvolto nei fatti ed alla prima relazione sintetica (fornita dalla Direzione aziendale), e ha fatto emergere alcuni aspetti di criticità sia di carattere organizzativo, sia clinico”. Dal punto di vista organizzativo, riportano gli ispettori, “è necessario predisporre e diffondere procedure che permettano una chiara definizione del percorso assistenziale e delle responsabilità ad esso connesso. È emersa inoltre la necessità di migliorare la valutazione delle condizioni di rischio potenzialmente presenti in gravidanza e al momento del ricovero, con particolare riferimento alla problematica delle infezioni, nonchè la necessità dell’aderenza a linee guida sul trattamento della sepsi, trattandosi di patologia ad elevata letalità e le cui probabilità di sopravvivenza sono anche tempo-dipendenti”.
In merito al caso di Marta Lazzarin, la donna deceduta al settimo mese di gravidanza all’Ospedale San Bassiano di Bassano del Grappa, “la gestione dell’emergenza, su un piano comunicativo, non è stata adeguata, creando forse delle aspettative nei familiari sull’esito delle cure. Da sottolineare la non adeguata gestione del dolore”. Da un punto di vista clinico, è emersa la necessità di aumentare negli operatori l’aderenza alle procedure relative alle condizioni di rischio che possono essere presenti in gravidanza, con particolare riferimento alla problematica delle infezioni: la letalità della patologia, anche a seguito di una corretta gestione terapeutica, rimane elevata. “Peraltro – ammettono gli ispettori – è stata somministrata terapia antibiotica iniziale appropriata al quadro di infezione sospettato”.
Infine, circa l’Ospedale G. Fracastoro di San Bonifacio, Azienda ULSS N. 20 di Verona, in merito al caso di Anna Massignan, sulla base della documentazione, dei colloqui intercorsi con il personale coinvolto nei fatti, nonché dalla epicrisi (fornita dal Direttore della UOC di Ginecologia ed Ostetricia), “emergono alcuni aspetti di carattere organizzativo e clinico. Dal punto di vista organizzativo, in considerazione del fatto che il processo assistenziale travaglio/parto/nascita, anche in situazioni fisiologiche, è tempo dipendente, è necessario predisporre e diffondere procedure che permettano una chiara definizione del percorso assistenziale e delle responsabilità ad esso connesso. Da un punto di vista clinico, è emersa la necessità di predisporre e diffondere procedure che permettano la valutazione delle condizioni di rischio potenzialmente presenti in gravidanza e al momento del ricovero, con particolare riferimento alla problematica delle infezioni e della sepsi: infatti, trattandosi di patologia ad elevata letalità e le cui probabilità di sopravvivenza sono anche tempo-dipendenti, sono necessari identificazione precoce e monitoraggio continuo del quadro clinico, anche se l’esito positivo non è scontato. Le procedure e i protocolli presenti nel Punto Nascita vanno adattati alle condizioni cliniche: sotto questo profilo, la scelta del momento in cui effettuare il TC è cruciale al fine della sopravvivenza materno-fetale”.
Commento.
L’importanza della comunicazione nel rapporto di cura. È di particolare interesse quanto affermato dagli Ispettori per il caso di Bassano del Grappa: “la gestione dell’emergenza, su un piano comunicativo, non è stata adeguata, creando forse delle aspettative nei familiari sull’esito delle cure”. La sottolineatura del profilo comunicativo deriva dal fatto che i familiari della gestante, secondo quanto riportato dal loro legale, hanno sostenuto di essere stati più volte rassicurati, dal personale medico, circa le condizioni della parente.
Il testo degli ispettori, al di là del riferimento al caso concreto, è un messaggio di attenzione circa la odierna rilevanza del profilo comunicazionale. Al professionista sanitario, al giorno d’oggi, è richiesto che il bagaglio tecnico-scientifico, afferente al sapere medico, sia integrato da un bagaglio di sensibilità e conoscenze (psicologiche e relazionali) da applicare, in aderenza ai contesti, nel rapporto con il paziente e/o con i familiari, soprattutto nei casi in cui le condizioni del paziente peggiorano e si aggravano.
Le aspettative della pubblica opinione: il diritto alla salute come diritto alla guarigione. L’esigenza di una condotta adeguata – adeguata anche da un punto di vista comunicazionale – è oggi rafforzata dalla evoluzione culturale che ha trasformato (talvolta in modo irrealistico) le aspettative di massa in tema di diritto alla salute.
La evidenza dei progressi scientifico-tecnologici, e la crescente tutela dei diritti della persona così come risulta a livello giuridico (a partire da norme costituzionali come quello dell’art 32 della Costituzione italiana), hanno determinato una percezione impropria del diritto alla salute, come se la salute fosse un risultato sempre conseguibile e sempre richiedibile (ad altri): cosicché, in caso di mancato conseguimento, il fattore causale porterebbe sempre a una colpevolezza.
Nel contempo, si è modificata anche la percezione del diritto alla cura: ovvio che il malato ha diritto ad essere curato (ed è altrettanto ovvio che questa formulazione è più corretta rispetto alla formulazione del ‘diritto alla salute’); tuttavia, la percezione di un diritto a stare bene, e a guarire se si è ammalati, ha fatto sì che il “diritto alla cura” venga inteso, frequentemente, come diritto a una cura risolutiva (anche quando, purtroppo, non ne sussistano le condizioni).
Tra l’altro, a proposito di questa trasformazione culturale, non è mancata qualche percezione autocritica persino all’interno della componente medica. È interessante segnalare, in tal senso, che, già nel 1989, presso l’Università di Padova, all’interno di un corso avente ad oggetto i Diritti dell’Uomo e dei Popoli, si affermava che: “Noi medici siamo responsabili di aver contribuito alla distorta concezione del diritto alla salute come sinonimo di diritto alla cura della malattia e di aver esageratamente enfatizzato il valore delle conquiste della medicina diagnostica e terapeutica sulla salute”.
Le esigenze attuali: opinione pubblica, e formazione medica. In rapporto al contesto attuale, diventano dunque essenziali due prospettive: corretta informazione dell’opinione pubblica (obiettivo invero difficile, considerando le attuali tendenze dei media); inoltre, sensibilizzazione e formazione in campo medico (proseguendo, del resto, un percorso virtuoso che è già in atto).