Il fatto. Un transgender chiede, al Tribunale, l’autorizzazione a effettuare il trattamento medico-chirurgico per la modificazione definitiva dei propri caratteri sessuali primari (organi genitali e riproduttivi) ai fini della rettificazione dei propri atti anagrafici (da maschio a femmina). Pur avendo ottenuto l’autorizzazione, successivamente non effettua il trattamento temendo le complicanze di natura sanitaria e valutando di aver raggiunto un’armonia con il proprio corpo che lo ha portato a sentirsi donna a prescindere dal trattamento anzidetto. A distanza di dieci anni il transgender chiede la rettificazione dei propri atti anagrafici, per conformarli ai propri caratteri sessuali secondari.

 

La norma. La norma di riferimento è l’art. 1 della Legge n. 164 del 1982, che recita: “La rettificazione di cui all’articolo 454 del codice civile si fa anche in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.

 

L’iter processuale. Il Tribunale respinge la richiesta di rettificazione degli atti anagrafici, ritenendo che l’intervento agli organi genitali e riproduttivi sia una condizione necessaria.

I giudici della Corte di Appello confermano la sentenza del Tribunale, richiamando la giurisprudenza prevalente la quale interpreta la norma nel senso che la rettificazione dell’atto di nascita richieda la modificazione dei caratteri sessuali primari (essendo insufficiente la modifica dei caratteri sessuali secondari quali la conformazione del corpo in diversi tratti, il timbro della voce, gli atteggiamenti e comportamenti esteriori e percepibili da terzi): modifica dei caratteri sessuali secondari portata a compimento dal transgender, nel caso in esame, anche attraverso diversi e ripetuti trattamenti estetici e chirurgici.

La sentenza di Appello viene impugnata dal transgender in Cassazione.

 

La sentenza della Corte di Cassazione n. 15138/2015. Secondo i giudici della Corte di Cassazione, il fenomeno del transessualismo ha subito mutamenti dall’entrata in vigore della Legge n. 164 del 1982. Sempre secondo la Corte, l’evoluzione era stata già rilevata dalla Corte Costituzionale (sent. n. 161 del 1985), che aveva ritenuto che “la legge n. 164 del 1982 si colloca nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie e anomale”. La più recente concettualizzazione del transessualismo si richiama, in tale ottica, ad un paradigma complesso, in base al quale “la chirurgia non è la soluzione, ma solo un eventuale ausilio per il benessere della persona”. Ancora secondo la Corte di Cassazione, un’interpretazione che non tenga conto di tale evoluzione “finisce per tradire la ratio della legge”, cosicchè “la scelta di sottoporsi alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari non può che essere una scelta espressiva dei diritti inviolabili della persona, sacrificabili soltanto se vi siano interessi superiori di carattere collettivo da tutelare espressamente indicati dal legislatore”. Ove non vengano indicati dalla legge tali interessi superiori, “l’interesse pubblico alla definizione certa dei generi, anche considerando le implicazioni che ne possono conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico-fisica”.

La Corte di Cassazione, perciò, non ritenendo necessaria, ai fini della rettificazione dei dati anagrafici, la modificazione definitiva dei propri caratteri sessuali primari, con la sentenza 15138/2015 accoglie il ricorso del ricorrente, cassa la sentenza di Appello e accoglie la domanda di rettificazione di sesso da maschile a femminile.

 

La questione giuridica centrale: il significato di ‘caratteri sessuali’. Secondo la disposizione legislativa, la rettificazione di cui all’art. 454 del codice civile esige la sussistenza di due requisiti: in primo luogo, che siano “intervenute modificazioni” riguardanti la persona e, in secondo luogo, che tali modificazioni abbiano riguardato i caratteri sessuali.

Per quanto attiene al primo punto, il riferimento alle intervenute modificazioni (con peculiare sottolineatura, qui, della specificazione localizzata nella parola “intervenute”), parrebbe far pensare a modificazioni che siano avvenute nel percorso di costruzione identitaria della persona, mentre parrebbero escluse le modificazioni remotamente collocabili fin dalla nascita e nei suoi dintorni temporali. Tale puntualizzazione, a prima vista quasi inutile, è destinata a rivelarsi decisiva in rapporto alla interpretazione di ciò che si intenda per caratteri sessuali. Infatti, qualora si ritenesse che un soggetto possa richiedere il mutamento legale di identità invocando il mutamento dei caratteri secondari, in tal caso il mutamento dei caratteri secondari, se intervenuto sin dalla nascita, sarebbe fuori dalla fattispecie normativa, in quanto non si tratterebbe di “modificazioni intervenute”.

In realtà, il rilievo giuridico di questa specificazione (in termini di modificazioni intervenute) non appare considerato nella sentenza e, quand’anche fosse emerso, certamente la Corte avrebbe formulato una interpretazione idonea a superare la eventuale difficoltà lessicale.

Il problema vero, da un punto di vista giuridico, sta dunque nell’interpretare la dizione “caratteri sessuali”. Qui non si tratta di opporre una interpretazione letterale a una interpretazione non letterale, ma si tratta, piuttosto, di opporre una interpretazione restrittiva a una interpretazione estensiva: la interpretazione restrittiva porta a richiedere la modificazione dei caratteri sessuali primari, la interpretazione estensiva porta ad accettare, sullo stesso piano, cumulativamente ma anche alternativamente, la modificazione dei caratteri sessuali primari e/o la modificazione dei caratteri sessuali secondari.

Interpretando la sentenza della Cassazione si può riassumere, in estrema sintesi, il seguente atteggiamento: secondo la Corte, il legislatore, verosimilmente, nell’adottare quella formulazione, pensava originariamente ai caratteri sessuali primari; tuttavia, nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, si finirebbe per tradire la ratio della legge qualora non si tenesse conto dell’evolversi delle visuali e delle sensibilità in tema di situazioni minoritarie e anomale, compreso il transessualismo.

 

Le proiezioni sociali e politiche della sentenza della Cassazione: il rapporto tra legislatore e giudice, tra legge e costume. La sentenza qui riferita è di grande rilievo dal punto di vista sociale e politico perché, nei confronti di una legge che verosimilmente aveva un significato restrittivo, viene assunta una interpretazione estensiva fondandola sulla evoluzione del sentire comune nell’ambito di una tendenza storica in itinere.

Se le cose stanno così, è chiaro che la legge, come fonte del diritto, viene a concorrere con un’altra fonte giuridica, non menzionata nel sistema tecnico delle fonti, che è l’evoluzione del costume e del sentire collettivo (ma collettivo di chi? Di tutti? O di una maggioranza? O magari di una minoranza che sembra maggioranza?); e si aggiunga che l’interpretazione del costume e del sentire collettivo, sulla cui base dovrebbe avvenire la conformazione dinamica della legge, è ovviamente affidato alla magistratura.

In questo scenario, che del resto appare chiaramente dalle motivazioni della Corte, viene ad affievolirsi il riferimento alla legge in termini di certezza del diritto e viene anche ad affievolirsi il principio secondo cui il porsi delle norme giuridiche è affidato al legislatore come espressione della sovranità popolare.

In definitiva, questa decisione giurisprudenziale è di particolare rilievo perché ci conduce nel cuore di una tensione tra potere legislativo e potere giudiziario, tensione che viene a trovare un rilevantissimo terreno di confronto in tema di fonti del diritto (soprattutto nelle casistiche di maggiore dialettica sociale, o politica, o culturale).