La massima. La Corte di Cassazione, nella sentenza 14630/2015, afferma che “il nesso di causalità rappresenta la relazione probabilistica e concreta (svincolata da elementi soggettivi) tra un determinato comportamento e il determinato danno che ne consegue; mentre tutto ciò che attiene alla dimensione comportamentale (soggettiva) – come, ad esempio, la capacità di previsione e prevenzione del danno – inerisce alla sfera della colpevolezza”.
Il fatto. Una paziente, a seguito di risonanza magnetica, effettuata presso una Usl, apprende di essere affetta da microadenoma ipofisiario nella emiporzione destra della ghiandola, con conseguente galattorrea e alterazione del ciclo mestruale. Tale patologia viene seguita dai sanitari appartenenti all’Istituto Fisioterapico Ospedaliero, i quali consigliano alla paziente di sottoporsi ad un intervento di escissione del microadenoma, nella prospettiva (da lei rappresentata) di una seconda gravidanza. La paziente viene così sottoposta ad intervento chirurgico per la asportazione transfenoidale del microadenoma e dimessa il giorno seguente l’intervento. Nella relazione di dimissione viene evidenziata l’insorgenza post-operatoria di un diabete insipido. In aggiunta a tale disturbo, che persiste, viene diagnosticata alla paziente, a seguito della seconda gravidanza, una tireopatia.
La pretesa risarcitoria. A giudizio del consulente medico-legale della paziente, i postumi insorti sono da ricondurre all’errore compiuto dal medico chirurgo nell’esecuzione dell’intervento chirurgico di escissione del microadenoma, non essendo stato completamente asportato il microadenoma ed essendo stata lesa una parte di tessuto sano; la paziente chiede pertanto – nei confronti del medico chirurgo che aveva effettuato l’intervento, e nei confronti dell’Istituto Fisioterapico Ospedaliero – il risarcimento del danno biologico (nella misura del 35%) e del danno patrimoniale.
Il Primo grado. Il Tribunale accoglie la domanda risarcitoria della paziente.
Il Secondo grado. La Corte d’Appello, in riforma della pronuncia del Tribunale, accoglie i gravami proposti dal medico chirurgo e dall’Istituto Fisioterapico Ospedaliero, rigettando la domanda risarcitoria della paziente.
La Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione conferma la sentenza di secondo grado. La Corte evidenzia come l’impianto motivazionale adottato dai giudici d’Appello sia corretto, avendo essi ritenuto, in modo conforme alle risultanze degli accertamenti peritali, che, “pur trovandosi il danno lamentato dalla paziente in indiscutibile rapporto causale con l’intervento chirurgico, non è configurabile una condotta colposa in capo al medico chirurgo, a carico del quale non sono emerse note di imperizia, imprudenza o negligenza, e al quale non sono ascrivibili errori tecnici nella scelta e nella esecuzione dell’operazione”.
COMMENTO. La massima della Cassazione, riferita qui sopra, presenta un profilo di banalità e un profilo di interesse.
Il profilo di banalità consiste nella sua assoluta evidenza. La massima, infatti è palesemente conforme alla strutture delle norme giuridiche e ai principi generali del diritto: non sarebbe possibile dubitare che gli elementi di una fattispecie hanno una loro individualità e vanno accertati separatamente. Quindi, in tema di fatto illecito, l’elemento oggettivo del fatto, l’elemento oggettivo del danno, l’elemento oggettivo del nesso causale tra fatto e danno, l’elemento soggettivo della colpevolezza, la valutazione giuridica circa l’ingiustizia del danno, sono da accertare separatamente (senza che l’uno possa esonerare dall’accertamento di un altro). Tutto ineccepibile.
Il profilo di interesse sta nella evidenza del principio: richiamarlo specificamente significa conferirgli enfasi, per affidargli la funzione di un messaggio attenzionale. Anche senza volersi avventurare in “dietrologie” che in campo tecnico sarebbero fuori luogo, la massima della Corte di Cassazione è un forte richiamo a ricordare che, anche in tema di responsabilità sanitaria, la priorità di tutela della persona non può far sì che una responsabilità soggettiva venga trasformata in una responsabilità oggettiva. Quindi: la causazione di un danno non basta a tradursi in risarcimento, ma occorre il concorso della “rimproverabilità”. È un richiamo più che corretto: è un giusto argine verso una deriva pericolosa (orientata ad estendere in modo abnorme l’area della risarcibilità).